Parliamoci chiaro – Settima puntata

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Adriano si rese conto di aver pensato a voce alta, e che quel che gli era sfuggito non poteva certamente essere definita un’espressione fine. Ignorava fin dove poteva spingersi in quel gioco nel quale erano saltate tutte le regole a lui note. Nel dubbio decise che era meglio non rischiare e si inventò qualcosa per mettere una pezza alla sua gaffe.
– Ehm… volevo dire… che… ecco… questo posto mi sembra così cool, così… moderno, ma un po’ freddino… insomma, non pare anche a te che… –
Lei lo guardò perplessa chiedendosi se per caso il tipo si stesse stufando di stare lì, a parlare, parlare, ma senza combinare niente. Concluse che forse era il momento di alzare un po’ la posta, tanto per ravvivare la partita. Allungò una mano sotto al tavolo e la posò sulla coscia di lui, e poi cominciò a farla risalire, lentamente, molto lentamente, verso il suo inguine, leggera, ondeggiante, curiosa.
A quel contatto Adriano smise istantaneamente di farfugliare e socchiuse gli occhi come fa un gatto quando gli si liscia il pelo. Poco mancava che facesse le fusa.
Barbara sorrise.
– Sì, sono d’accordo con te, e non vorrei che l’ambiente raffreddasse anche te. Sai, a me gli uomini piacciono caldi; andiamo via. Ti andrebbe di mangiare qualcosa prima di… di darti a me? –
– Sarebbe splendido, ma non saprei dove trovare un buon ristorante da queste parti. Forse tu… –
– E infatti non ce ne sono. –
– Non capisco. Allora dove si va? –
– A casa mia. Qua attorno ci sono solamente locali scongela e scalda, tutta roba pronta da catering, e siccome in cucina me la cavo abbastanza bene, ti preparerò qualcosa di veloce io, sempre se ti fidi. E poi adoro guardare un uomo che mangia. –
Adriano non credeva alle sue orecchie. A quel punto non era nemmeno più tanto sicuro che la bionda fosse reale; magari gli era andato in pappa il cervello e lui stava vivendo una vivida allucinazione. Però la mano di lei era così… così… concreta, padrona dei movimenti, dello scorrere e del fermarsi, dello sfiorare e del premere, di ciò che mai avrebbe potuto immaginare, così forte, tanto che la pelle sotto ai pantaloni spingeva per uscire attraverso la trama della stoffa e unirsi a quella di lei che lo stava deliziosamente torturando.
– Bene, benissimo, ma non vorrei fare la figura dello scroccone. Io t’avrei volentieri invitato a cena. –
– Non ti preoccupare caro, avrai ben modo di sdebitarti come si deve. –
– Allora andiamo. –
– Solamente una cosa… –
A Barbara non andava di farsi vedere che usciva dal locale assieme a lui. Non che le importasse delle apparenze, ma non voleva dare l’idea che fosse stata “agganciata” dal primo venuto. Perciò lui avrebbe pagato le consumazioni e l’avrebbe attesa fuori, mentre lei se ne sarebbe rimasta lì ancora una decina di minuti, poi sarebbe andata al bagno, e quindi, con somma calma e fare annoiato, avrebbe lasciato il locale.
Al momento di alzarsi dal tavolo, Adriano ripensò a quando s’era vestito quella mattina. Per fortuna aveva scelto gli slip, altrimenti, coi pantaloncini, sarebbe stato alquanto imbarazzante andare in giro con qualcosa di simile al bulbo di prua di una petroliera.
Fuori era già buio, e aveva pure rinfrescato; per essere aprile la primavera si faceva ancora desiderare; il giubbino di cotone faceva del suo meglio, ma Adriano rimpianse per un attimo il fatto di non essersi portato dietro qualcosa di più pesante; del resto, questa escursione serale non era prevista, e l’aspettativa lo aiutò a sopportare l’aria frizzantina che si aggirava per il parcheggio.
Dopo un po’ arrivò lei; più scaltra, aveva sulla spalle un ampio scialle nero di lana; lo prese sottobraccio e si avviò con lui lungo la strada.
– Su bello, vieni. –
– Un momento, ma la mia macchina è… –
– Non penserai che ti faccia guidare in questo stato vero? Ti sei scolato due whisky e un gin tonic, più che sufficienti per far scoppiare il palloncino dell’etilometro.-
– A parte il fatto che non era whisky ma bourbon, non hai tenuto conto del caffè corretto. Lo vedi che eri distratta? –
– Ecco, appunto. Se ti fermano passi un guaio, e a me rovinano la serata. Stai tranquillo, che poi posso riportarti io qua, ci metto poco, è a meno di un’ora di strada da casa mia. –
– Va bene, però devo assolutamente prendere una cosa in macchina. –
Barbara lo lasciò andare, sicura che non se la sarebbe squagliata, e infatti, qualche minuto dopo, lo vide di ritorno che trascinava un voluminoso trolley.
La situazione le apparve buffa, e non resistette alla tentazione di prenderlo in giro.
– Ma che fai, ti porti dietro i vestiti? Pensi forse di venire a casa mia e fare una sfilata di moda maschile? –
– No, queste sono le apparecchiature, più di venticinquemila euro di roba; non posso mica fidarmi di lasciarle qua, in questo parcheggio, tutta la notte. –
– Ah, dimenticavo, sei un fotografo, ma non pensavo che costassero tanto quegli aggeggi. Mi farai qualche bella fotografia? –
Adriano l’aveva già sentita quella domanda, tutte le volte. Infatti aveva in ufficio un discreto archivio di immagini, da quelle diciamo “artistiche” a quelle smaccatamente pornografiche. Lo teneva da conto quel suo tesoro di scatti fotografici, erano la sua assicurazione nel malaugurato caso che qualche matta si fosse messa in testa idee strane. Per lui sarebbe stato facile far arrivare quelle immagini compromettenti a un marito geloso, a una rivista scandalistica, oppure immetterla in rete, inserirla in qualche sito porno, e distruggere così la reputazione, la pace, la vita di chi osava minacciarlo.
– Sicuro, vedrai che bel servizio fotografico ti combino. –
Dopo un centinaio di metri raggiunsero l’auto di lei, un pickup scuro. Stava parcheggiato su una specie di piazzola di terra battuta un po’ discostata dalla strada principale.
– Scusa se ti ho fatto camminare con quel bagaglio appresso. Quando sono arrivata il parcheggio era tutto pieno. –
Adriano sollevò il suo trolley facendo sfoggio della sua forza mascolina, e lo pose con delicatezza nel cassone – Non fa niente, sono solamente quattro passi. –
Approfittarono di quel tratto di strada per conoscersi meglio, socialmente s’intende.
Lei aveva cominciato a studiare medicina, ma poi era finita a fare il veterinario, ma non uno di quelli che curano cani e canarini. Lei girava per allevamenti, curava conigli, vitelli, vacche, maiali, e, se malauguratamente era indispensabile, li ammazzava pure, e si portava via le carcasse. Per quel motivo aveva quel grosso pickup.
Lui le aveva già detto che era un fotografo di una ditta che realizzava cataloghi commerciali e campagne pubblicitarie; niente di eccitante, non avrebbe mai vinto il premio Pulitzer, però lo stipendio non era male, e poi aveva la possibilità di fare incontri interessanti, come quello appunto.
Le raccontò che pure sua moglie era nel ramo pubblicità, consulente di progetto; anche lei viaggiava, spesso anche all’estero, per la definizione dei contratti e delle location. In quel momento doveva trovarsi da qualche parte della Cappadocia. Adriano si chiese perché diavolo stesse parlando di sua moglie e preferì lasciar cadere il discorso, limitandosi a fissare in silenzio la strada che scorreva davanti a lui.
– Siamo arrivati. –

Segue…