Parliamoci chiaro – Decima puntata

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 MistressFonte http://mandiemanzano.deviantart.com
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Quando cominciò a riemergere da quel niente, Adriano provò la netta sensazione che la testa gli stesse scoppiando; la sentiva gonfia come un pallone; le tempie, le guance, gli occhi, le labbra, tutto pulsava e premeva per uscire da sé; ma non sentiva dolore, casomai erano le caviglie che gli davano un po’ fastidio. – Che figura di merda! – fu il suo primo pensiero cosciente. Si diede del fesso per aver bevuto troppo, per aver mescolato tutte quelle bevande alcoliche in un cocktail micidiale.
Cosa ricordava? Dunque… era a tavola con Barbara… aveva finito di mangiare e poi… il decanter ancora mezzo pieno, o mezzo vuoto, visto che l’aveva vuotato lui… sì, decisamente aveva bevuto troppo. Rammentò quella sensazione di intontimento… aveva cercato di andare in bagno, ma era caduto, e probabilmente aveva battuto il capo; per soprammercato, forse si era procurato anche una storta alla caviglia.
Prima di riaprire gli occhi stette ad ascoltare i rumori d’intorno per cercare di indovinare dove si trovava, giusto per prepararsi l’animo. Il posto era abbastanza silenzioso, non si udivano voci, solamente qualche rumore metallico, sottile, quasi argentino, e c’era qualcosa di elettrico che ronzava. L’assieme gli sembrò indecifrabile.
Alle narici gli arrivava un odore pungente, simile a quello di un frutto andato a male, nulla che comunque potesse aiutarlo a indovinare.
Si fece coraggio e aprì piano gli occhi; gli ci volle più di qualche qualche secondo per abituarsi alla luce intensa di quell’ambiente e per mettere a fuoco; quando riuscì a finalmente distinguere qualcosa, ne seppe meno di prima.
Niente sembrava avere un senso; c’erano degli strani oggetti sulla parete di fronte a lui, una specie di assurdi appendiabiti di acciaio o qualcosa di simile; vide delle mensole sotto alle quali, in maniera incomprensibile e illogica, erano appesi svariati attrezzi, anch’essi metallici; girando un poco il capo fu sconvolto dalla vista di un grande frigorifero fissato al soffitto; il locale dove si trovava in quel momento doveva essere molto basso, in quanto aveva la netta sensazione che la sua testa fosse molto vicina a quello stesso soffitto. Cercò di guardare in basso, verso il pavimento, ma, inspiegabilmente, chinare il capo era diventato molto faticoso, e non ce la fece. Era debole, o almeno si sentiva molto debole; cercò di muovere le gambe e le braccia, ma non uno degli arti rispondeva agli stimoli, erano come bloccati; una nuova ipotesi terrificante prese forma nel suo cervello: era caduto male, molto male, tanto da danneggiare la spina dorsale e restare paralizzato; in questo caso però, la ragione gli diceva che avrebbe dovuto trovarsi in ospedale, e non in quell’ambiente surreale.
Udì dei passi e vide avvicinarsi una figura, assurda anch’essa per sistemazione e abbigliamento. Era completamente bianca, tranne una zona del volto, e curiosamente si avvicinò a lui camminando sul soffitto.
– Bene, vedo che ci siamo svegliati. –
– Mmm…dvv… onnno? –
Adriano si accorse di non riuscire ad articolare bene le parole. Era come se fosse sotto l’effetto di un’anestesia potente, una di quelle anestesie che usavano un tempo i dentisti, quando non si riusciva nemmeno a bere un bicchier d’acqua senza versarsene tre quarti giù per il mento.
– Non sforzarti di parlare, non serve. –
– ovvvve …ooono? Hiii… eeei? –
– Testardo eh? Ok, ora te lo spiego, così forse capirai. E poi non mi si venga a dire che sono maleducata. –
La figura in bianco fece qualche passo, si accoccolò sul soffitto e avvicinò il suo volto a quello di Adriano. Nonostante apparisse sottosopra, egli la riconobbe subito: – Baaa…baaa…rrrr….a! -.
– In persona, piacere di rivederti. –
Quando lei gli si avvicinò, lui riconobbe anche il suo bizzarro abbigliamento: era una di quelle tute di carta usa e getta, quelle che si usano per verniciare senza sporcarsi.
La mente di Adriano cominciò a elaborare e scartare le ipotesi più assurde; ciò che rimase di plausibile era esiguo e sconvolgente al tempo stesso. Primo, erano probabilmente ancora a casa di Barbara, secondo, lei stava indossando una tuta da pittore, terzo, lui era, per il momento, fuori combattimento, quarto, e questa fu la constatazione più sgradevole, ciò che pensava fosse il soffitto era invece il pavimento, ovvero era lui a stare a testa in giù.
La sofferenza portata dalla ritrovata razionalità recava altri messaggi sgradevoli, tra i quali, un brivido di freddo. Non sentendo la morbida costrizione della biancheria intima, giunse alla logica conclusione di essere nudo.
Adriano considerò l’eventualità di essere finito nelle mani di una sadica particolarmente perversa; era plausibile; sapeva, per esperienza diretta, che il sesso ha molte sfaccettature: è un diamante nero sul quale riescono a specchiarsi gli aspetti inconfessabili delle voglie più nascoste. Gli era già capitato di sentire il pizzicore di un frustino o di farsi calpestare, si era fatto condurre al guinzaglio come un cagnolino, donne dominatrici lo avevano incatenato, morso, sodomizzato, umiliato in mille maniere, tutto per il loro, e il suo, godimento, perché, alla fine di quei giochi, lui trovava sempre la sua trionfante rivincita.
Qui però la faccenda era diversa; Barbara non indossava uno di quegli attillatissimi completini di cuoio nero, non portava la maschera della torturatrice; la luce poi, era tutta sbagliata, troppo forte, troppo fredda; niente musica di sottofondo, solamente un ronzio continuo che probabilmente proveniva da quel grosso frigorifero; e che ci faceva un frigorifero in una stanza dei giochi perversi? Pensava forse di torturarlo con dei cubetti di ghiaccio? No, niente tornava.
– …ooosaa… uuuoi …faeee? –

Segue…