Musica sacra – Sesta puntata

Prima puntata
Seconda puntata
Terza puntata
Quarta puntata
Quinta puntata

MadamaButterfly

Ormai Omero s’era messo l’animo in pace. Secondo una logica che gli sfuggiva, gli addetti ai lavori pretendevano da lui una tangente, forse perché avevano percepito la sua insicurezza e avevano deciso di fargli pagare una specie di “protezione”, o magari solamente perché era uno nuovo, inesperto, uno da spremere, e per di più non era un tedesco, e quindi, con tutta probabilità, più malleabile.
Non fa nulla, ormai aveva ceduto, ma avrebbe avuto il suo spettacolo da dirigere; loro non potevano sapere che lo avrebbe fatto anche gratis, tanta era la sua fame di successo. Nulla comunque cambiò nei suoi programmi, beh, suoi per modo di dire, al massimo si permetteva di sorridere con sufficienza quando nei pressi del teatro incrociava il Ferrini; quel giornalista gli aveva parlato di un mucchio di soldi, senza avere però la minima idea della tasca dalla quale sarebbero usciti; un mucchio poi, che esagerazione, che idiota!
Per assurdo, Omero si sentì sollevato. Quella faccenda ormai era chiarita, e niente, specialmente il denaro, si sarebbe posto tra lui e il suo progetto artistico.
Pia illusione.
Una sera, appena tornato negli studi televisivi dopo una dura giornata di riprese in esterno, fece appena in tempo a congedare gli operatori quando fu raggiunto da un fattorino della rete che lo pregava di recarsi immediatamente al suo albergo. Avrebbe voluto protestare, c’era da visionare, selezionare, montare ore e ore di girato (lui usava ancora quei termini desueti), ma ebbe pena di quel biondino slavato che lo stava osservando in attesa della tempesta. Di sicuro lungo quei corridoi erano passate molte star, animali viziati e pretenziosi, incerti di tutto, ma certi di essere il centro dell’universo, e Omero giammai avrebbe voluto dare l’impressione di far parte di quella schiera di bambini capricciosi, tanto più verso una persona che non aveva altra colpa tranne quella di svolgere un compito magari sgradevole, ma obbligato.
Represse perciò il bruciante disappunto e riuscì persino a congedare il fattorino con un sorriso di benevolenza, salvo poi pentirsi quasi subito del suo atteggiamento falsamente bonario che celava uno strisciante complesso di superiorità.
Giunto che fu al suo albergo, fu avvicinato da due persone, una giovane donna e un uomo sulla quarantina, entrambi molto eleganti, entrambi a lui sconosciuti, le quali lo pregarono di seguirlo in una saletta privata.
Questi si presentarono come funzionari dell’Österreich Werbung, l’ufficio nazionale turistico. Fin dall’inizio del colloquio furono molto cortesi, e soprattutto pazienti, dato che Omero ben poco sapeva di quella istituzione. Di sicuro non era un’agenzia di facciata, tutt’altro: i suoi formidabili pilastri erano costituiti dal Ministero dell’Economia e dalla Camera di Economia, senza contare tutta una rete di collegamenti con gli uffici turistici regionali e le potenti aziende del settore.
Fatte le presentazioni, i due funzionari iniziarono un largo giro per arrivare a chiedere lumi su quanto Omero stesse riprendendo in esterno su e giù per Vienna. Puntualizzarono che non era tra le loro facoltà quella di discutere degli aspetti artistici delle immagini, – e vorrei vedere – pensò Omero, bensì quello di far presente al regista la valenza delle sue scelte, o per meglio dire, l’impatto che esse avrebbero avuto sul pubblico.
– Il massimo possibile – fu la laconica risposta di Omero.
– Appunto – fu l’ermetica controrisposta della donna.
Ciò che avvenne poi per due ore in quella saletta fu assai somigliante a quel che si definisce un lavaggio del cervello; alternandosi come due consumati attori i due funzionari sommersero Omero di statistiche, previsioni, concetti, numeri e numeri che portavano di volta in volta a visioni idilliache o, al contrario, catastrofi bibliche; con eguale alternanza di risultato e di ruolo lo blandivano come un nume tutelare, o facevano gravare sulla sue spalle oscure profezie, esaltavano la sua opera e nel contempo ne incrinavano la cristallina struttura; per qualche motivo Omero non riuscì a scrollarsi di dosso una sensazione opprimente, un’inespressa, ma non per questo meno pericolosa, minaccia.
Ciò che gli rimase di tutto quel dispendio di fiato fu un fastidioso mal di testa, la rinuncia a utilizzare il suo girato, la promessa di trasmettere i ridenti filmati di repertorio, e una card che gli avrebbe consentito per cinque anni il soggiorno gratuito in ogni struttura turistica dell’Austria, compreso l’albergo dove alloggiava al momento, oltre alla sgradevole sensazione di essersi venduto.
Cercò di convincersi che, tutto sommato, non erano soldi, andava solamente in pari con quanto gli era stato estorto una settimana prima.
Per inciso, ricordò che non glieli avevano ancora chiesti; il suo cachet era noto, quindi, conti alla mano, sapevano quanto pretendere, ma nessuno si era fatto vivo da allora; che doveva fare, andare in giro per il teatro o per gli studi televisivi chiedendo a chi doveva dare il quaranta per cento del suo ingaggio?
Ancora non sapeva che i suoi dubbi sarebbero stati fugati l’indomani stesso.
L’illuminazione, se così possiamo definirla, la ricevette durante la pausa pranzo negli studi televisivi. Stava controllando sul monitor il montaggio di alcuni esterni, i soliti monumenti, colonnati, cariatidi, roba che per lui sapeva di rancido, ma che ormai si era impegnato a utilizzare, quando un bussare discreto distrasse la sua attenzione da quello stucchevole spettacolo; fu quasi grato al disturbatore.
– Ah, buongiorno, ma se non sbaglio lei è…
– Il primo violino, esatto. È la prima volta che ci incontriamo fuori dal teatro.
Omero si chiese cosa mai volesse da lui quel tipo azzimato, impeccabile anche nella sua semplice giacca verde di lana cotta e pantaloni di grisaglia. Intuì invece come mai potesse risultare antipatico, probabilmente mai spettinato, probabilmente arrogante, probabilmente anaffettivo.
Senza chiedere permesso il musicista si accomodò su una poltroncina a rotelle accanto al regista, e quindi si mise a ruotare un po’ a destra e un po’ a sinistra, come a prendere tempo per un’azione ancora da definire nei dettagli. Dopo un buon mezzo minuto di silenzio reciproco, il musicista sparò la frase che evidentemente gli frullava nel cervello da un bel po’.
– So per certo che il Maestro le ha parlato di me, e non in termini lusinghieri, e lei ha l’ingrato compito di uccidermi, televisivamente parlando s’intende.
Omero si aspettava qualcosa del genere, ma non in termini così crudi, e perciò abbozzò una risposta dilatoria.
– Io non la metterei in questi termini, diciamo che non gradirebbe una sua sovraesposizione, in quanto mi par di capire che tra voi due ci sia della… ruggine… ecco, ma in quanto regista io mi riservo di gestire le riprese come ritengo meglio, perciò…
– Perciò lei, se vuole conservare il suo posto, si troverà costretto a seguire le inderogabili indicazioni di quel vecchio trombone.
Nel pronunciare quell’ultima frase il violinista estrasse da una tasca della sua giacca una busta e la pose sulla postazione di fronte a Omero.
– Trentamila Euro per disobbedirgli. Dia la colpa a un cameraman, a un guasto, a quello che vuole, ma io ho bisogno di quella visibilità. La mia intenzione è di andarmene quanto prima da questa orchestra, mi aspettano gli Stati Uniti, pagano bene ma pagano le stelle, e una stella non può essere invisibile.
Omero ripensò al direttore d’orchestra, al suo fare falsamente cordiale, al minuzioso programma del concerto, all’odore non propriamente gradevole dello schnapps alla frutta, ma anche al suo futuro, alle accuse di tradimento, alla promessa ostilità perpetua, ed esitò.
Il musicista comprese il suo imbarazzo e cercò di dargli l’ultimo strattone verso la sua parte.
– La prego, li prenda, tanto io il prossimo anno non sarò qui, e lei potrà fare quello che vuole.
Erano trentamila, diciottomila per lui e dodicimila per quegli altri; allora era di questi soldi che s’era parlato, non del suo cachet.
– Va bene, li prendo.
Rimasto finalmente solo si sentì un doppio Giuda: trentamila denari per tradire il direttore d’orchestra, e anche per tradire Omero Dossena, il puro, il moralista, l’irreprensibile.
Addio a lui.

Continua a leggere…

.

3 risposte a "Musica sacra – Sesta puntata"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.